I boschi del Parco del Ticino costituiscono l’ultima e la più importante area forestale della Pianura Padana. Le superfici boscate ricoprono complessivamente circa 20.000 ettari e, per continuità ed estensione, rappresentano un’eccellenza territoriale. Tale eccellenza, tuttavia, è talvolta contrapposta ad altri boschi degradati e invasi da piante esotiche a carattere infestante; questo stato di fatto deriva dalle trasformazioni sul territorio causate da mutamenti socio-economici che hanno riguardato questa porzione di territorio.
I processi di trasformazione del paesaggio agro-forestale dovuti alla crescita industriale nel secondo dopoguerra, alla meccanizzazione agricola intensiva e al massiccio espandersi della pioppicoltura contribuirono a distruggere pressoché totalmente il patrimonio forestale della pianura.
Solo con l’avvento delle Regioni (1971) e con la conseguente emanazione delle leggi forestali regionali (in Lombardia la prima legge forestale data 1976) è iniziata una fase di attenzione al ruolo e al significato dei boschi di pianura.
Con la successiva istituzione dei grandi parchi fluviali (Ticino, Adda, Lambro, Oglio, Mincio e Serio) e con la conseguente rivalutazione e valorizzazione delle aree boscate residue, sta lentamente formandosi una coscienza forestale collettiva che forse consentirà, nell’arco di alcuni decenni, di porre parzialmente rimedio agli scempi del passato.
All’epoca dell’istituzione del Parco del Ticino agli inizi degli anni ’70, i boschi avevano subito ingenti tagli, iniziati già a partire dagli anni ’40. Tali boschi risultavano già pesantemente modificati nella loro composizione floristica dalla invasione di specie esotiche, quali la robinia prima e il ciliegio tardivo poi, introdotto per favorire l’attività venatoria nell’area di brughiera e rivelatosi una delle specie più invasive dei nostri boschi.
I boschi erano poi impoveriti nella loro composizione floristica e nella loro popolazione faunistica da oltre un secolo di uso dei fuochi radenti attuato dalle Riserve di caccia e dall’abbattimento delle specie animali non ritenute interessanti per l’attività venatoria, o addirittura ritenute “nocive”. Inoltre, negli anni ’70 erano stati effettuati molti tagli e dissodamenti, spesso “a macchia di leopardo”, all’interno della foresta e sui suoli migliori, per far posto a pioppeti industriali e a nuovi coltivi. Per finire, nuove strade, cave e nuovi insediamenti abitativi, resi economicamente interessanti dalle necessità ricostruttive post belliche e dai nuovi interessi che le sostenevano, stavano alterando profondamente gli ecosistemi forestali.
Cosa fare, allora, dei residui boschi del Ticino? La prima cosa che fece il Parco fu quella di censire il patrimonio forestale sopravvissuto e di indirizzarne il governo e la gestione con l’approvazione del “Piano di settore dei boschi”. Tale Piano fu redatto per “dare un quadro di riferimento di massima per la gestione del patrimonio forestale e boschivo al fine di: salvaguardare e/o migliorare la qualità e quantità delle risorse forestali e boschive, razionalizzare gli sfruttamenti, promuovere indagini conoscitive”.
Lo scopo del piano fu quello, poi, di fornire indirizzi di lavoro per ricostruire, per quanto possibile, la foresta planiziale ticinese, non più e non solo per produrre legname ma, soprattutto, per produrre nuove forme di ricchezza per i singoli proprietari e per l’intera collettività.
I due più importanti valori che costituiscono l’anima del Parco sono le acque e i boschi; senza buone e abbondanti acque e senza boschi sani e ricchi in qualità e in quantità di specie animali e vegetali, il Parco non avrebbe ragione di esistere.