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Marcite

Marcite

La marcita prima di tutto è un prato che nella stagione primaverile estiva fornisce foraggi per il bestiame: l’attuazione su questo prato di tecniche agronomiche di origini antichissime ne rendono disponibile l’erba anche d’inverno. Durante la stagione fredda, grazie ad un continuo e preciso lavoro dell’agricoltore con il suo badile, un sottile velo d’acqua scorre sul manto erboso, disposto ad arte con le giuste pendenze, impedendo il formarsi del gelo: l’erba continua a crescere ed il prato non smette mai di vivere. La commistione tra coltivazione, opera d’arte e testimonianza storico-culturale ne fa un elemento di grande importanza da preservare ed ammirare. A ciò si aggiunge una valenza faunistico-ambientale risaputa, ma solo recentemente dimostrata scientificamente, per cui tali coltivazioni risultano fungere da rifugio a numerose specie di interesse conservazionistico (link progetto Cariplo 1).

Le marcite furono introdotte in Pianura Padana intorno all’anno mille per merito delle popolazioni contadine lombarde e piemontesi.Esempio di una marcita In quegli anni i monaci cistercensi, che abitavano le Abbazie e ricavavano dalle terre circostanti il loro sostentamento, affinarono queste pratiche agricole preesistenti, praticandole loro stessi, descrivendo la marcita nei loro testi e contribuendo in maniera decisiva alla loro diffusione. Ancora oggi i nuclei di marcite più consistenti si trovano nei pressi del centri religiosi (ad esempio l’Abbazia di Morimondo in provincia di Milano).

Oggi le marcite che ancora sopravvivono con certezza sono situate nel Parco del Ticino e nel Parco Agricolo Sud Milano con due gruppi consistenti (circa 500 ha). Localmente poi, non mancavano marcite a ovest della Lombardia nella bassa pianura novarese e vercellese e a sud-est di Milano nel cremonese e nel lodigiano, di cui si conservano sporadiche testimonianze.

Il Parco del Ticino negli anni 90, anche grazie ai riferimenti normativi già citati del P.T.C., decise di intraprendere un percorso di collaborazione con gli agricoltori più attenti e sensibili, finalizzato alla salvaguardia di oltre 300 ettari di marcite. Con il 2015 sono quasi trenta anni che il Parco assegna agli agricoltori un contributo economico per il mantenimento o il recupero delle marcite e pertanto sono quasi trenta anni che nel Parco sopravvivono ambienti unici in Pianura Padana, patrimonio di queste regioni e di queste popolazioni, testimonianza di un mondo agricolo capace di tramandare fino ad oggi un bene dalle radici antiche, ma dal valore attuale inestimabile

Un Esempio di lavoro sulla marcitaAltro aspetto importante è la quantità di lavoro manuale che richiede la marcita: la circolazione di acqua su un campo coltivato, per quanto di pianura, richiede un continuo controllo da parte dell’agricoltore che, prevalentemente con attrezzi manuali, deve intervenire continuamente per evitare danni alla rete irrigua e al campo. Inoltre non va dimenticata la qualità del lavoro manuale: l’arte del badile e la sapienze nel controllare il movimento dell’acqua sulla superficie del prato non sono innate, devono essere in parte trasmesse dagli anziani e in parte si acquisiscono facendo il lavoro frequentemente. La manualità e la capacità tecnica che gli agricoltori anziani di oggi hanno imparato dalle generazioni precedenti, quando la marcita era una pratica diffusa e praticata ovunque, oggi rischiano di scomparire insieme ai loro custodi.